C’è una terra, la Boemia, occupata dai nazisti. In una piccola stazione passano in continuo convogli militari, vanno e vengono dal fronte. Alcuni trasportano bestiame, altri soldati. Ma nella stazione il problema è un altro. E’ in corso un procedimento disciplinare. Il capo manovra Hubicka ha timbrato il didietro della telegrafista Zdenka Svatà. E’ la penitenza del gioco “paga pegno”. E’ stato il diversivo per ammazzare il tempo durante il turno di notte. “Il capo manovra Hubika guardava il cielo azzurro, adesso su quel cielo lo vedevo anch’io, su tutto il firmamento sta distesa Zdenika, la nostra telegrafista, il capo manovra le alza delicatamente la gonna, poi prende un timbro dopo l’altro e con lunghi movimenti mette quei timbri sul sedere della telegrafista…”.
Durante le presentazioni, quando mi chiedono che cosa leggo, quali sono i miei autori preferiti, dimentico sempre Bohumil Hrabal. Eppure è uno degli autori che hanno più contribuito alla voglia di ironia nella mia scrittura.
“Treni strettamente sorvegliati” è un racconto lungo o un romanzo breve. Vedetela un po’ come vi pare. Per me è una sorta di inno contro il potere, qualunque esso sia. Con la forza del sarcasmo, Hrabal smonta le divise, il rigore e la serietà di un regime. Vedete quei ragazzi sul treno. Sono la nostra speranza, la nostra gioventù. “E voi qui, stampate timbri sul didietro della telegrafista!”. Il gesto, grottesco e piccante, celebra la vita, che non va presa sul serio, in fondo perché non ne vale la pena. La vita è semplice, anche se tutti si dannano per rendercela complicata.
In Hrabal non ha più senso la liturgia di una fede, non ha senso la devozione verso un potere. Perde di significato persino il destino.
In un mondo malato di sottomissione, alla fine, conta solo l’ironia. “La metà dei timbri è composta di parole tedesche, è questa la profanazione”.
Ma ancora: in un mondo senza dio, per Hrabal l’ironia è l’unico motore che ci eleva verso il cielo.