L’ideale dell’ ostrica.
Il ristorante era affollato e al nostro tavolo non si parlava d’altro che di attentati, cani sciolti, emulatori, sfigati, bambini troppo lontani dagli oratori, immigrati troppo vicini alle moschee, insomma tutta quella rete che costituisce un potenziale franchising per l’Isis.
Non me ne voglia, Lidia, ma ho subito immaginato un attentato da black friday, in offerta speciale, proprio lì da noi, tra le tovaglie ancora bianche delle tavolate di quel vecchio ristorante, di un quartiere popolare di Torino, noto per il pesce, ma estraneo a foodora o agli scioperi di Amazon.
La prego, mi lasci finire, senza affrettarsi a immaginare scene apocalittiche: tranci di polipo al carciofo che esplodono e poi precipitano con il loro paracadute d’emergenza, ad anello di totano, sulle acconciature delle signore. Non mi faccia parlare, cara Lidia, anche se mi viene da ridere davanti a quelle tinte fresche di giornata per la gioia delle sciampiste del Natale… E allo stupore dei mariti, fino a quel momento, Narcisi intenti a specchiarsi dentro i calici di vernaccia, convinti di passarsi tra le dita lo stelo del sacro graal.
Il punto è un altro, mia cara nonna.
Ho solo immaginato l’ingresso trionfale di Turimegazeppa con le piume da ballerina sulla schiena, mentre cantava Mi vendo di Renato Zero. Si consumava così il nostro attentato. Era tutto made in Torino e la mia cellula dormiente, svegliatosi improvvisamente dopo una nottata difficile al Cafè Blue, era il noto deejay metropolitano.
Vede Lidia, c’è dell’altro. La sua apparizione non ha destato stupore, se non in me. Lo trova normale? Le sembra logico che un gesto bellico di quella portata non abbia fatto audience, nemmeno tra le vittime dirette?
Sa qual è il problema? E’ che in questo mondo nessuno ci capisce più qualcosa. Riconoscere il nemico è diventato impossibile. E allora si rimane indifferenti. Ai suoi tempi, quando suonava la sirena, correvate nei rifugi e aspettavate che il bombardamento terminasse. Ma sapevate che erano gli inglesi o i tedeschi….
Mi spiega come faccio io oggi a difendermi da un Pm10 che entra in casa senza chiedere il permesso, appena apro la finestra? Come organizzo la contraerea contro un nemico che non vedo? Quando lei era giovane, erano gli ideali a vincere le guerre. Oggi, come ci si può difendere dall’Isis? Lei dice che basti un filtro antiparticolato? E poi come si spiega che l’attentato, almeno a noi, sia arrivato da un uomo di spettacolo, uscito dalle cantine della città? Le note di Renato Zero sono state un boato in mezzo al brusio delle voci dei commensali e il tintinnino delle posate che provavano invano a graffiare inattaccabili piatti di vetroceramica. Non può immaginare lo spavento.
Alle volte, ho la sensazione, e mi corregga se sbaglio, che tutto quel che ci capita, non sia un caso, ma che venga calato dall’alto per confonderci.
Alla nostra tavola, poi, si è creato un grande dibattito su come e quanto la nostra nazione sia complice dell’Isis e di Renato Zero. Li finanziamo in modo diretto? Indiretto? Abbiamo accordi commerciali? Vede Lidia, ne sono rimasto dispiaciuto. In fondo, eravamo lì per festeggiare il Natale, ma a nessuno di noi è venuto un pensiero spirituale. Eravamo tutti appesantiti dalla situazione e dalla cena. Ha avuto la meglio la geopolitica dell’orata al forno, annegata nell’Arneis. Ha vinto la paura della friggitrice dei calamari, soprattutto tra quelli che si trovavano seduti più vicini alle cucine.
Alla fine, mia cara Lidia, mi sono reso conto di non avere ideali. L’unico che mi è balenato il quel ristorante, è stato quello dell’ ostrica. Lei lo ricorderà di sicuro…
L’ideale per l’ostrica è che finisca prima lo champagne. L’ ostrica punta a superare l’aperitivo, a non essere aspirata da una bocca famelica, come quella di un Dyson, almeno fino al giorno dopo. E non mi tiri fuori il Verga e i valori della famiglia come unico parafulmine delle classi più povere, perché questa è ancora un’altra storia. Ma con le ostriche del nostro Natale non ha minimamente a che fare.
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