Cartelli artigianali, improvvisati e raffazzonati, appesi ad abitazioni vecchie e marcescenti che soffocano il saliscendi di stradine. “Abbiamo vino novello e olio nuovo”.

“In questa locanda si serve solo Montepulciano… Il novantotto per cento dei nostri clienti beve Montepulciano. Gli altri? Acqua liscia o gassata”.

Piove. Il muro d’acqua quasi non lascia scorgere l’orizzonte. Vie sempre più strette. Case basse esitano e si arrampicano sulle pendenze scomode di questo presepe chiamato Appennino, di questo labirinto che suona Lanciano.

“Il Montepulciano è, mi lasci dire, l’occhio all’occhiello del nostro locale. Il Montepulciano è l’occhiello della nostra Regione. Se lo tracannano tutti! Pure invecchiato rimane beverino”.

La luce va e viene. Fuori tuona… Tuona in novembre. Quando il tempo è inclemente, stare dentro, seduti attorno a un tavolo è ancora più piacevole. Piovono caraffe di Montepulciano.

“Queste sono melanzane ripiene di pane e verdure. E’ un mangiare povero, come si sta dalle nostre parti. E’ modesto ma carico. Lo stomaco te lo riempie e non si scarta nulla. Qua non si fa monnezza. Se è sincero, me lo scrive domani… magari per sms”.

Il cielo è sempre più scuro e ancora più basso a Lanciano in novembre.Un figlio a tanti chilometri di distanza verso il quale direzionare i pensieri.

“Mi chiede se abbiamo posto? Di tavoli sì… quanti ne vuole, ma non c’è più niente da mangiare… qua si va a prenotazione… Avete prenotato? No vero? Attendete, allora”.

L’oste scompare dietro l’angolo, deve c’è il cesso e la cucina. Continua a diluviare. Le vie sono ormai fiumi in discesa che trasportano detriti e ghiaia.

“Mettetevi lì, mia moglie qualcosa ve lo fa. Vi do da mangiare perché fa brutto… e l’anima in qualche modo la dobbiamo scaldare. Montepulciano o acqua?”.

Gli avventori appoggiano gli ombrelli all’ingresso e si accomodano a un tavolo in un angolino del locale. Dai loro occhi trasborda tutto il sospetto di un modo di fare spiazzante: scorbutico e gentile.

Piove.

Dalle finestre del seminterrato non filtra più nemmeno un raggio di luce.

“Siamo contro la virtù ammuffita e convenzionale… Nel mio locale il mondo può entrare in caftano e abito da sera. L’abbigliamento è un dettaglio irrilevante, semplice polvere davanti allo spettacolo del cosmo”.

Il rumore della pioggia cala. Gli schiamazzi in sala aumentano. Il Montepulciano sta faticando, sta lavorando, insomma sta facendo il suo dovere.

“Benvenuto dottore… Lei è presidente di sette/nove associazioni… Per me è un onore!… Le porto un aperitivo.. Un Montepulciano in calice alto, con i miei omaggi e quelli della signora, che sta in cucina ma la saluta cordialmente, con cordialità”.

Il cielo si da un contegno, ma non regala a schiarite. Non è in vena. Non è la sua giornata.

“Il manzo al Montepulciano è scuro ma leggero… Un piatto, con modestia trattando, raffinato! Voi non siete di qua vero? Siete venuti per il miracolo eucaristico?”. “No, per lo spettacolo dei Rom! Un accampamento in festa a teatro”.

Silenzio.

La pioggia si fa coraggio e torna a occupare i vuoti di baccano. Una minestra di ceci e verdure, ancora fumante, con la sua fragranza, s’impossessa della taverna.

“Le bottiglie di Montepulciano vanno servite senza etichetta… Qui facciamo tutto tra  noi… non siamo mica all’autogrill!”. Viene sistemato un cliente dubbioso e impertinente.

Piove.

Tempo inclemente e da lupi…

Caldarroste e macchie gialle nei boschi in lontananza.

“Quelli, i lupi, non li chiamiamo! Da queste parti ci sono davvero. Non li invitiamo, per cortesia”, intima l’oste.

Piove, ma bisogna andare via… per non occupare troppo a lungo certe sedie, per non chiudere il pasto con la noia… per non esagerare con il Montepulciano…

“Allora grazie… e arrivederci… Niente in bocca al lupo…

In Abruzzo, non si dice in bocca al lupo!”.