Oggi, in quartiere Campidoglio, tra la Pellerina e cielo, è stata smarrita una gatta. Dai manifesti appesi sui muri, apprendo che si chiama Yuki. Alla taverna del borgo, nel menù di giornata, di secondo, proponevano il coniglio al civet. Cara Lidia, Lei sa come sono fatto. Non me lo chieda manco. Mi sono fermato per il coniglio. Un po’ me ne vergogno, ma ho subito pensato male. L’idea di magiare carne di gatto, come faceva mio nonno in tempo di guerra, mi ha stuzzicato. Lei lo sa bene, anche perché il nonno era anche suo marito.
Vede Lidia, a volte basta poco per trasformare una giornata ordinaria in qualcosa di speciale. Ricorda Campidoglio? Un quartiere proletario, con case basse all’inglese e vie strette e raccolte come quelle di un paesino di montagna? Non fosse per l’ospedale Maria Vittoria che è l’unico suo panorama, sarebbe un paradiso tra la tangenziale e la città. Beh, lì esistono ancora le vecchie piole, dove tutto è possibile.
All’aperto non c’era più posto. Tutti i tavoli erano occupati. Ma di starmene all’interno, con giornate ancora così calde, non mi andava proprio. Sa quale è stato il mio primo pensiero, cara Lidia? Beh… che non sono stato l’unico a notare il manifesto della gatta smarrita. Eravamo in tanti con la voglia di assaggiare il gatto.
Il proprietario , ormai da tempo amico, mi ha fatto sedere a fianco di un avvocato che era lì, da solo. Lidia, lei non ci crederà… Era un uomo simpaticissimo, amante della tavola semplice e del quartino di vino.
“Diamoci del tu”… E’ la prima cosa che ha pronunciato.
“Che cosa hai preso?”, ho risposto.
“Il gatto”, ha bisbigliato senza batter ciglio.
“Bartolo! Gatto, cioè coniglio, anche per me!”, ho urlato.
Poi, abbiamo salmodiato sui figli, per me quasi come i grani di un quinto di rosario, delle notti insonni, dei film di Tognazzi vietati ai minori di 14 anni e di questo Toro che fa di tutto per non vincere.
Il coniglio?
Ah, già quasi me ne dimenticavo, era stupendo. Lidia… Non ho mai mangiato un coniglio così buono. Non può che essere stato micio. Nell’idea mi sono crogiolato tutto il pomeriggio. Voi, nostri nonni, lo mangiavate perché non c’era altro. Noi? Ce lo siamo trovati in tavola perché c’è la crisi, perché i grillini predicano la decrescita felice, perché stiamo tornando a vivere tempi simili ai vostri, più semplici e bucolici.
“Il gatto era fantastico!”, ho detto a Bartolo mentre me ne andavo dal locale.
“Ma hai visto in quanti lo hanno preso?”, mi ha risposto. “Di gatti smarriti ne servivano almeno 20 per colmare i piatti che ho preparato”.
Vede Lidia, nemmeno questa osservazione mi ha fatto rientrare nell’ordinario. L’idea di aver mangiato un gatto durate la pausa pranzo, mi ha reso esotica la giornata.
E’ stata più vera, più viva… Poi sono tornato alla routine dell’ufficio.
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