Dopo il post “Silenzio d’altri tempi”, qualcuno mi ha chiesto di raccontare com’era l’agriturismo anni 80. Queste righe sono quel che ricordo, nulla di più. Se l’ispirazione non mi abbandonerà, proseguirò il racconto. Sarà il mio modesto contributo per rendere più piacevole il confino.
Quando tutto tornerà in quadro
Del primo esempio di agriturismo, in tempi in cui la parola non esisteva ancora, ricordo soprattutto Draga. Era la padrona. Draga era una zingara di quelle che non si levavano mai il foulard dalla testa, nemmeno dentro le mura di casa. Draga era immensa. Aveva seni enormi e fianchi improponibili. Durante i pasti, riusciva comunque a muoversi con disinvoltura tra i tavoli. Grazie a braccia immense e a mani proporzionate al resto del suo fisico, riusciva a portare anche quattro brocche di vino alla volta. Il mosto era giallo paglierino. Lo produceva lei insieme ai suoi figli. Era torbido. Murray sosteneva fosse stato generato da uno stagno o dalle nuvole basse dell’autunno. Era una sorta di retsina, figlio di quelle colline, anche se, la sera, al quinto bicchiere, tutti convenivano che sgorgasse direttamente dal seno di Draga.
Fuori regnava il silenzio, ogni tanto rotto dal torpedone per Sarajevo o dal passaggio di una Zigulì di chissà quale spia. Ma dentro a quelle mura, c’era il fracasso di un’orchestra scombinata. Era un Olimpo in subbuglio, come quando capitava che a tutte le dee arrivavano le mestruazioni insieme.
Murray era il mio amico americano. Era partito da Washington repubblicano, e se ne sarebbe ritornato fervente democratico, grazie a quell’esperienza. Me lo avevano messo vicino a tavola perché ero l’unico che parlava inglese. Diventammo buoni amici. Quando mi diceva “ahi, ahi Riccardo”, pronunciando la A del mio nome quasi come fosse stata una O, capivo che avevamo passato il Rubicone. E allora il retsina iniziava a zampillare direttamente dal seno di Draga dentro ai nostri bicchieri, che tintinnavano brindisi a sproposito. Per un mondo migliore! Per un viaggio senza intoppi! Sognavamo il disgelo tra Est e Ovest. Murray sosteneva lo volesse anche Regan ed era per questo che lui lo sosteneva. Io lo mandavo a cagare. Poi, mi piaceva citare a caso Gromyko per scoppiare a ridere subito dopo. In mezzo a quella baldoria, potenziata da musiche balcaniche d’altri tempi, pensavo soprattutto ai miei compagni di liceo, probabilmente in Sardegna o ai Caraibi, che una volta tornati a scuola non avrebbero mai creduto che dietro l’angolo, nel ventre molle dell’Europa, esistesse Draga, una sorta di dea Kalì dalle mille risorse.
Nonostante la stazza, Draga era anche una gran danzatrice e tra noi, in quelle notti pazze, si faceva a gara per farla ballare. Con i suoi passi gitani, incantava. Quando alzava le braccia, si scorgevano ascelle nascoste dietro una barba di mais, come quella appena strappata dalle pannocchie. Era talmente umida che, a sfiorarla appena, sgorgava acqua, come fosse appena tornata dai suoi campi dopo quattro giorni di pioggia. Draga faceva il pane in casa. Anika, una delle sue figlie, era completamente diversa. Cerchi d’oro alle orecchie e una cortina di ferro di silenzi. Lavorava e non si lasciava corteggiare. Quei cerchi d’oro ai lobi erano la sua unica vanità.
Gli spazi erano quel che erano e di quel primo esempio di agriturismo, ricordo soprattutto i contatti fisici, i brindisi a Gromyko e Regan. Lo sfiorarsi, l’urtarsi senza farlo mai apposta. Dopo il silenzio della notte, regalava pace. Era una maniera basica di comunicare… Con gli anni, nel mondo occidentale, si è persa. Mi piace ricordarla oggi, questi tempi di contagi e sospetti. Magari, quando tutto tornerà in quadro – perché no? – Si riprenderà anche questa abitudine.